1 dicembre 2014

Sangue sulla Luna


Austin Osman Spare era stato molto povero e forse per questo il pastello aveva una cornice tanto modesta. Fui felice quando, togliendo quella cornice così poco adatta, scoprii in un angolo il monogramma AOS, con cui il pittore si firmava. Mentre avvicinavo alla luce il pastello per osservare meglio la sigla non ebbi bisogno di sfogliare il vecchio catalogo della mostra per rintracciare il titolo di quell'opera. Mi era rimasto impresso nell'anima per tutti quegli anni: era Sangue sulla Luna.

Naturalmente, quando avevo letto quel titolo alla Archer Gallery, mi ero domandato che cosa mai significasse. Ma ero troppo giovane per avere il coraggio di chiederlo al pittore. In seguito, parlando con gli amici e anche con la signora che aveva acquistato il pastello, mi accorsi che nessuno sapeva il perché di quello strano titolo; io avevo letto diversi scritti di Spare ed ero certo che in esso ci dovesse essere un significato nascosto: sapevo che il pittore si interessava alla tradizione geroglifica, ma purtroppo quando cominciai a fare ricerche serie, Spare era scomparso portando con sé, così pensavo, ogni possibile risposta alla mia domanda.

Il significato di quel titolo finii per scoprirlo, ma questa è un'altra storia. Se accenno a questo enigma ora è soltanto per via di qualcosa che accadde al mio secondo incontro con Mark Hedsel.

Era passato più o meno un mese dalla visita alla Archer Gallery quando un giovedì pomeriggio entrai nella libreria Atlantis di Museum Street. Cercavo una copia di seconda mano di un classico dell'esoterismo orientale, Il segreto del fiore d'oro, nella traduzione di Wilhelm.

Per quanto ricordo, a quell'epoca a Londra c'erano soltanto due librerie esoteriche: la famosa Watkins di Cecil Court, diretta da quel colto esoterista che era John Watkins, e l'Atlantis, che apparteneva a Michael Juste, un arcanista di grande competenza.

Il mio primo incontro con Michael Juste, avvenuto due anni prima, era stato molto strano, quasi inquietante. Nel 1953 io avevo appena quindici anni. Il mondo dell'arcano mi incuriosiva già, ma ero molto ignorante al proposito. Avevo da poco deciso che, invece di andare all'università, avrei studiato pittura all'accademia di belle arti. Il giorno in cui varcai per la prima volta la porta della libreria Atlantis, avevo un album da disegno in una mano e una cartelletta nell'altra.

Ripensando a quel momento così importante per la mia vita, mi pare di ricordare che l'Atlantis fosse illuminata da due lampade a gas. Naturalmente c'era già l'elettricità, ma Michael si ostinava a usare due vecchie lampade sistemate sopra quello che un tempo era il camino. Posso ancora sentire il sibilo dei beccucci nel negozio altrimenti silenzioso, e rammento quanto era buio e tetro, di sicuro non un posto dove starsene a sfogliare comodamente i libri. Ebbi la sensazione che l'Atlantis non fosse una semplice libreria, che la sua funzione fosse un'altra.

Una volta dentro il negozio, quando la vista si fu abituata alla semioscurità, mi accorsi di due facce che mi scrutavano, entrambe con penetranti occhi infossati e incorniciate da riccioli fluenti. In quel buio erano così simili che mi ci volle qualche istante per capire che una era quella di un busto di bronzo a grandezza naturale, la copia inerte della persona viva che, sorridendo della mia confusione, si presentò come Michael Juste.

«Ci siamo già incontrati» disse con naturalezza, fissandomi in attesa della conferma.

«Non credo» mormorai. Ero arrivato da poco a Londra e conoscevo al massimo cinque o sei persone in tutta la città.

«Sì. È stato in Egitto. Tu eri uno scriba anche in quella vita.»

Non voleva stupirmi. Parlava con un tono del tutto normale e nella sua voce c’era una sicurezza sconcertante. Erano parole che avrebbero dovuto lasciarmi di sasso, e invece avevano un qualcosa di così rassicurante e fermo che soltanto in seguito mi resi conto della stranezza di quella conversazione.

«Ma in questa vita sarò un pittore» dissi, mostrandogli l’album. Quella mattina mi ero appollaiato davanti alla finestra dell’antica casa di Christopher Wren sulla riva sud del Tamigi, a buttar giù uno schizzo della straordinaria vista di St Paul, che si innalzava oltre i magazzini distrutti dalle bombe. Wren aveva comprato quella casa per seguire i lavori di costruzione della cattedrale, che risorgeva dalle ceneri dopo il Grande Incendio. Ora, da quella stessa finestra si vedeva la sua cattedrale risorgere da altre ceneri. Aprii la pagina in cui c’era il disegno e glielo mostrai.

Michael Juste lo prese e lo guardò, annuendo. Ora nella sua voce c’era un filo di impazienza: «Eri uno scriba allora. Sarai scriba di nuovo. In questa vita» disse, restituendomi l’album da disegno con un gesto piuttosto brusco.

Erano passati due anni e mi trovavo di nuovo nella libreria Atlantis, quando il campanello sopra la porta tintinnò. Entrò Mark Hedsel. Indossava la sciarpa e il basco come l’altra volta e sembrava uno studente parigino della rive gauche, ma più elegante. A tracolla aveva una borsa, che posò sul banco, vicino alla mia cartelletta. Compì quel gesto in modo curioso, prendendo la cinghia fra il pollice e l’indice e rivolgendo verso di noi il palmo della mano. Pensai che fosse una forma particolare di saluto per Michael: avevo sentito parlare di segnali del genere tra confratelli, ma era la prima volta che mi capitava di vederne uno.

Michael si rivolse a me, chiedendomi: «Come ti chiami?».

«David Ovason.»

«David, ti presento Mark Hedsel. Scoprirai che avete molte cose in comune.» Ci fissò entrambi, prima l’uno e poi l’altro, come per indicare che le sue parole avevano un significato particolare.

«L’ho vista alla Archer Gallery» mi azzardai a dire, mentre Mark mi porgeva la mano.

«Alla mostra di Austin?»

Annuii e gli strinsi la mano. «Parlava con Austin Spare.»

«L’ho incontrato soltanto due o tre volte» disse Mark, rivolto a Michael. «Prima che lasciassimo la galleria, aveva venduto otto quadri.»

«Sono contento» rispose ridendo Michael. «Così per un po’ non andrà nei pub.»

«Gli piace bere?» chiesi piuttosto sorpreso.

«No» replicò Mark. «Ci va per vendere le sue tele. È un genio che fa l’ambulante. A volte espone i suoi lavori nei pub. E se qualcuno gli chiede un ritratto, glielo butta giù per quattro soldi.» Si rivolse di nuovo a Michael: «È un tipico genio inglese; un ego solitario, eccentrico e povero. Un reietto».

«Come Blake» aggiunse Michael con un sorriso.

«Per più di un verso» assentì Mark. (Allora non capii a che cosa alludessero con quelle parole. In seguito seppi che Spare era convinto di essere stato Blake in una vita precedente.)

Seguì un silenzio durante il quale Mark mi scrutò attentamente. Aveva un profilo dalle linee nette, un volto giovane e armonioso, ma nel suo sguardo c’era un’espressione matura che faceva pensare avesse superato la trentina da un pezzo: i suoi occhi erano gentili, penetranti e saggi, il suo tratto più peculiare. Dava l’impressione di osservare e valutare, ma senza la minima diffidenza.

«Vuoi venire a prendere un caffè, David?» mi chiese Mark. Continuò a scrutarmi, anche mentre mi rivolgeva questa domanda così innocente, come se a interessarlo non fosse tanto la domanda, e neppure la risposta, quanto io. Mi ero già fatto l’idea che Mark appartenesse a qualche scuola segreta e il cuore mi batteva all’impazzata.

Annuii e allungai la mano per prendere il mio album da disegno, ma nel farlo questo si spalancò e la pesante copertina rovesciò un bicchiere lì vicino che cadde a terra frantumandosi. Confuso, mi chinai a raccogliere i pezzi e li infilai in quel che restava del bicchiere.

«Mi dispiace molto.»

«Non preoccuparti» disse Michael, troncando sul nascere le mie scuse. «Sarà meglio che tu lo metta sotto l’acqua...»

Lì per lì non capii, ma poi, seguendo il suo sguardo, mi accorsi che perdevo sangue da un dito.

Posai di nuovo l’album. Michael andò sul retro del negozio e aprì una porticina che dava su una scala di pietra. Dietro sue istruzioni scesi per la prima volta nella cantina che stava sotto la libreria.

L’atmosfera era misteriosa, ma non sgradevole. Mi sentivo protetto. In seguito, quando cominciai a imparare qualcosa di più sul mondo segreto della magia, ripensai a quella cantina e capii perché mi era sembrata così strana: con qualche rituale magico Michael doveva averla sintonizzata in modo tale che potessero entrarvi soltanto le persone sinceramente interessate all’arcano. Il locale era zeppo di libri occulti e rari, di quadri e cianfrusaglie arcane di ogni genere: oggetti magici, pettorali rituali, bastoni e altre curiosità. La cosa che più mi sorprese fu scorgere, in mezzo a tutto quel disordine, tanti dipinti, pastelli e disegni di Spare. Stipati sugli scaffali e ammonticchiati sul pavimento nella confusione più totale c’erano moltissimi libri e, benché non avessi tempo di sfogliarli, notai nel mucchio rilegature in pergamena splendidamente lavorate con nomi di occultisti famosi, tra cui Agrippa, Dee, Gichtel e Van Helmont.

Mi lavai la ferita, estraendone una minuscola scheggia di vetro, fasciai come meglio potei il dito con un po’ di carta igienica per fermare il sangue e poi, risalendo la scala, ritornai nel negozio.

Quando entrai i due uomini mi guardarono stupiti come fossi un intruso. Sembrava che ridessero fra loro di qualcosa.

«Guarda» mi disse Mark, indicando l’album ancora aperto sul banco. Sul foglio c’era uno schizzo ad acquarello che avevo fatto qualche giorno prima: raffigurava una Diana cornuta, che avevo liberamente ripreso da un’illustrazione di Boris Artzybasheff che amavo molto.

«Guarda» ripeté Mark.

Il sangue, un rivoletto che era colato dal dito ferito, attraversava da una parte all’altra il disegno. Era come un lampo rosso che si stava coagulando e fendeva l’azzurro profondo del cielo notturno e il ventre nudo della celeste Diana.

«Vedi? Sangue sulla Luna» disse Michael Juste.

Rimasi turbato. Non avevo rivelato a nessuno il mio interesse per il quadro di Spare. Volevano forse dimostrarmi di saper leggere nei miei pensieri, nella mia stessa anima? Quei due uomini possedevano la visione superiore di cui parlavano i libri arcani sui segreti dell’iniziazione? A un tratto mi sentii piccolo piccolo davanti a loro.

Allora ero giovane e fu soltanto parecchio tempo dopo che capii come Mark e Michael non pensassero affatto al quadro di Spare. La loro attenzione era stata attirata dall’immagine di Diana nel mio album da disegno: in quel disegno insanguinato avevano colto un significato alchemico.

Nel rivolo di sangue avevano entrambi percepito lo stesso significato nascosto: l’incontro del Sole con la Luna. In alchimia l’unione di Sole e Luna – espressa con simboli diversi, ma interrelati, quali l’accoppiamento del Re e della Regina, o la figura dell’androgino, prediletta dagli incisori del XVI secolo – costituisce una fase importante nella produzione della pietra filosofale, la cui scoperta è il fine degli alchimisti. Nel sangue sulla Luna Michael e Mark videro quel giorno il segno che io mi sarei occupato della coniunctio alchemica, ossia che in me sarebbe sorto l’interesse per l’iniziazione. Da occultisti esperti sapevano che ogni atto – anche quello apparentemente più casuale – ha un suo significato profondo.

Mark Hedsel, L'iniziato

2 commenti:

  1. Salve avrei piacere di sapere il nome o titolo della terza illustrazione (amanti sole luna) ed epoca relativa con autore se possibile, GRAZIE!

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  2. Ciao, questa immagine è tratta dal Rosarium Philosophorum, un testo alchemico anonimo del 1550. Il titolo dell'illustrazione è Congiunzione o Copula.

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