18 luglio 2015

La danza della gru




Anche la passione che ho rivelato a te e agli altri nella danza in tondo, la chiamerei un mistero.
(Cristo a Giovanni dopo la Passione, Atti di Giovanni)

Raccontano i miti greci come Teseo, dopo aver ucciso il Minotauro a Creta, facesse vela verso l’isola sacra di Delo, portando con sé Arianna e alcuni dei giovani e delle vergini ateniesi che aveva salvato. Raggiunta la terra ferma, Teseo e i compagni si diedero a una danza che riprendeva nei suoi movimenti le intricata sinuosità del labirinto da cui erano fuggiti. Quella danza era un’espressione di gioia traboccante, una celebrazione della fuga o il segno di un substrato esoterico legato al mito del labirinto?

Plutarco che la descrive, la chiama «danza della gru», perché, dicono i critici, i danzatori ne imitano i movimenti. Eppure la danza labirintica di cui Plutarco parla non assomiglia affatto a quella di un uccello.

Plutarco era, lo dice egli stesso, un iniziato e pertanto era abituato a celare le proprie verità ricorrendo alla Lingua Verde, per sviare i non adepti. La parola che egli usa per definire la danza è geranos: che essa non abbia qualche altro significato, sfuggito agli interpreti? È un’ipotesi plausibile, dal momento che in greco geraneion indicava una sostanza alchemica.

In realtà non è necessario setacciare i documenti dell’arte spagirica per trovare un significato più idoneo alla «danza della gru»: il termine greco, infatti, oltre a denotare quella che gli ornitologi chiamano la Gru cinerea, indicava anche la comune gru, la macchina usata per sollevare i pesi, una leva meccanica. I danzatori di Delo, che festeggiavano la vittoria sul Minotauro, ballavano forse con movenze tali da essere sollevati al di fuori del corpo fisico, verso le stelle?

È una domanda tutt’altro che peregrina, poiché proprio questo è lo scopo precipuo di alcune danze rituali, come indicano chiaramente i volteggi dei dervisci sufi, che ruotano in tondo per diventare tutt’uno con Dio e conquistare la quiete interiore. In Italia, esistevano scuole esoteriche di danza molto prima che i sufi introducessero le loro evoluzioni.

I disegni complessi tracciati dal vero danzatore non saranno per caso lo specchio del movimento cosmico, di quella che gli antichi bramini indiani chiamavano la danza di Shiva, divinità che rappresentava le forze generatrici nelle religioni vediche? I discepoli dell’iniziato Pitagora consideravano la danza un tentativo di riprodurre il moto dei pianeti e delle stelle, attribuendole uno scopo che è identico a quello che si propone la vera meditazione.

Un documento, definito «il più raro dei manoscritti occulti», descrive il viaggio che un neofita, librandosi al di fuori dal corpo, compie nello spazio: racconta dunque costui di avere goduto per un istante del dono di innalzarsi sulla superficie della Terra. Dapprima egli viene sollevato da una guida invisibile e sale così in alto che il nostro pianeta gli appare come una vaga nuvola.

«Fui portato» ricorda «a un’altezza immensa. La mia guida invisibile mi abbandonò e io discesi di nuovo. A lungo rotolai nello spazio…» Poi la guida lo solleva ancora, conducendolo a distanze incommensurabili. «Ho visto globi volteggiare intorno a me e terre gravitare verso i miei piedi…»

Nonostante la paura che lo prende, l’esperienza che questo neofita racconta non è tanto una prova quanto un preludio di quello che ora viene chiamato viaggio astrale, un viaggio nel mondo sidereo dei regni spirituali.

Le descrizioni di viaggi astrali, su fino alle stelle, non sono affatto una rarità nella letteratura arcana. Ma in questo innalzarsi, dietro una guida invisibile, non potrebbe forse esservi la conferma del significato esoterico che abbiamo suggerito per la «danza della gru»? Narrando il suo viaggio astrale, l’autore, che potrebbe essere il conte di Saint-Germain, era sicuramente convinto di raccontare un episodio della danza descritta da Plutarco. Ogni capitolo di questo importante libro è preceduto da un’immagine esoterica. Quella relativa al racconto dell’innalzamento nei cieli contiene tre immagini e quattro blocchi di scritte in un codice segreto. Uno dei tre oggetti è un’antica ara, su cui arde una fiamma ascensionale. Un secondo è un candeliere con un’unica candela, la cui base è formata da serpenti di bronzo intrecciati. Il terzo è una gru in volo, con le zampe e le ali nere, il corpo argenteo, la testa rossa e il collo dorato. È dunque un uccello alchemico: il nero rappresenta Saturno, l’argento è la Luna, il rosso Marte e l’oro è il Sole. Come la fiamma sull’altare e la candela sollevano verso l’alto l’anima della luce, altrettanto farà la gru.

La nostra tesi è che chi entra in uno stato di meditazione profonda, sia attraverso l’immobilità sia attraverso la danza, viene sollevato verso il mondo spirituale da forze invisibili, esattamente come fa una gru. Viviamo in un pianeta che è in perenne danza. La sua coreografia è ancora segreta, anche per gli astronomi, perché se è vero che la Terra si muove in circolo intorno al Sole, è anche vero che oscilla, e che in termini cosmici il suo centro solare è ben lontano dall’essere fisso. Chi saprebbe descrivere con precisione la vera traiettoria di un movimento così complesso? Noi stessi facciamo parte del cosmo, della Terra, e di questa traiettoria e danza cosmica. Quanti cercano dentro di sé la quiete per raggiungere il regno dello spirito sono già in movimento, per il fatto stesso di dimorare sulla Terra. Quali che siano le motivazioni di chi medita, ogni meditazione avviene nella danza.

La sostanza di cui è fatto il mondo è un’immagine riflessa sulla superficie immobile di uno stagno. Senza la superficie, in cui acqua e aria sembrano incontrarsi, non ci sarebbe alcun riflesso, e il riflesso è l’unica cosa che esiste. La speranza più grande per l’anima che si evolve fra tanta illusione sta nella meditazione, nel fortificare la mente. Questa fissità nel bel mezzo del cerchio di fuoco roteante in cui danza il dio Shiva è il silenzio davanti al pulsare del cuore della natura. La speranza, come ha detto T.S. Eliot, sta «nel punto immobile del mondo che gira».

Il silenzio interiore che nasce dalla meditazione è minacciato dall’interno e dall’esterno. A volte i pericoli sono come onde lievi che lambiscono la riva; a volte sono furibondi marosi che si schiantano contro il litorale. Come la persona retta che ha commesso una cattiva azione ha periodici sensi di colpa ogni volta che riaffiorano i ricordi, così tutti gli esseri umani immersi nella vita sono soggetti ad attacchi di karma negativo. Sia le aggressioni interiori, sia quelle esteriori, che i saggi orientali chiamano vasana, nascono dal karma passato. I vasana affiorano alla coscienza, uno dopo l’altro: sono, dice la letteratura sanscrita, come onde sulla sabbia. I primi monaci cristiani non erano poetici come gli yogin indiani e propendevano piuttosto per immagini teriomorfe: le onde del mare erano ai loro occhi animali e demoni mostruosi che distraevano la mente con fantasie deliranti, maschere dietro cui si nascondevano i sette peccati capitali.

Qual è la natura di questa danza della gru, danza della vita, in cui siamo lambiti da onde karmiche? La danza esterna – sia che ci innalzi fino ai cieli, sia che ci faccia semplicemente roteare nello spazio – dipende in realtà da un’altra danza: quella del sangue. È la circolazione sanguigna che stabilisce il ritmo della nostra danza intima: è un mare interno, le cui onde sono anch’esse simili a vasana e misurano inesorabilmente il flusso e il riflusso degli imperativi karmici.

Mark Hedsel, L'iniziato